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Lastra a Signa e le cave di Pietra

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Ancora oggi, Tullio Naldi(un anziano scalpellino di Lastra a Signa) racconta un aneddoto che rende bene l’idea; <<sembrava una processione, quando la sera gli scalpellini smettevano di lavorare e tornavano verso le proprie case. Erano così tanti che, osservandoli, sembrava d’assistere a una processione>>. Infatti fino alle metà del 1800 c’erano circa 500 scalpellini nel paese di Lastra a Signa e nelle frazioni limitrofe, i quali andavano a lavorare nelle cave della Gonfolina tra La Lisca e Brucianesi, oppure salivano al Fantone o al Lecceto. Già nel 1950 ne erano rimaste solo dieci di cave e una ventina di scalpellini, mentre a oggi le cave del territorio lastrigiano sono tutte chiuse e di scalpellini, come quelli di una volta, è rimasto solo Tullio Naldi.
Il nome Lastra a Signa, – che in origine era Lastra a Gangalandi, dall’alterazione fonetica popolare del nome di Gian Gualandi, il quale nel secolo XII possedeva un castello e fu Signore di queste terre -, deriva probabilmente dalle lastre di pietra arenaria molto presenti nella zona. Quest’ipotesi è avvalorata dallo stemma del paese, in cui sono presenti due squadre, strumenti tipici degli scalpellini.
Le lastre della pietra lastrigiana hanno sempre rifornito le città lungo l’Arno e non, come Firenze, Pisa e Livorno. Proprio l’Arno, per molto tempo, è stato il principale canale di movimento delle lastre e oggetto di dissapori tra scalpellini, proprietari terrieri  e fiorentini stessi, la cui unica preoccupazione era che il corso fosse pulito, per evitare possibili alluvioni.
Le lastre estratte perlopiù alla Gonfolina sono servite per la costruzione di numerose pavimentazioni, scale, fontane, panchine, etc. Una commessa molto importante fu nel 1562; molte pietre furono usate per la costruzione di Palazzo della Carovana in Piazza dei Cavalieri a Pisa.
La Frosini Pietre porta avanti questa tradizione del territorio lastrigiano, ubicandosi proprio in zona La Lisca, nei pressi della Gonfolina. I materiali utilizzati non sono però quelli di un tempo, data anche l’impossibilità di coltivazione delle vecchie cave.
Fonte: “Noi Lastrigiani” della Pro Lastra – Enrico Caruso

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